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La maledizione di via D’Amelio

Un ex fedelissimo dei fratelli Graviano era pronto a svelare gli intrecci Stato-Mafia ma lo hanno convinto a ritrattare. Acquistò lui il telecomando che scatenò l’inferno il 19 luglio 1992


 
L’altro ieri è stato arrestato all’aeroporto di Palermo, proveniente da Firenze, Fabio Tranchina, 40 anni, ex autista di Giuseppe Graviano, il boss di Brancaccio, la borgata palermitana. Graviano è uno degli ideatori, degli organizzatori delle stragi del 1992/1993. Fabio Tranchina è accusato di concorso in strage, la strage è quella di Via d’Amelio che costò la vita a Paolo Borsellino e a 5 agenti di scorta, il 19 luglio 1992.

Dietro l’arresto di Tranchina c’è una storia complicata. Complicata perché? Da qualche settimana Fabio Tranchina ha parlato con i magistrati antimafia di Firenze, rivelando alcuni aspetti delle fasi organizzative delle stragi di Via d’Amelio, in particolare Tranchina avrebbe ammesso di avere accompagnato il boss Giuseppe Graviano in uno dei sopralluoghi a Via d’Amelio pochi giorni prima della strage e ha ammesso di avere comprato un paio di telecomandi. Uno di questi sarebbe stato usato per la strage del luglio 1992.
Perché è una cosa complicata il suo contributo all’autorità giudiziaria? Perché a quanto è dato sapere con molto ritardo i magistrati siciliani che indagano sulla strage, quindi i magistrati Nisseni e i magistrati palermitani che non hanno mai smesso di indagare ovviamente sulla famiglia mafiosa dei Graviano e che oggi indagano sulla trattativa Stato – mafia, sono venuti a sapere con molto ritardo di questa collaborazione a metà. Fabio Tranchina è stato quindi gestito in modo tale dalla Procura di Firenze che è avvenuta una cosa tipica in questi casi: la famiglia di Tranchina lo ha recuperato, lo ha sicuramente convinto a non continuare questa sorta di collaborazione mai ufficializzata e lo ha riportato a Palermo, dove è stato arrestato.
Subito dopo il fermo i magistrati siciliani lo hanno interrogato e Tranchina si è avvalso della facoltà di non rispondere. Potremmo dire “Tranchina pentito per un giorno“. E’ un’occasione che speriamo non sia persa, in questo momento però è un’occasione mancata, perché Tranchina avendo curato la latitanza dei Graviano, potrebbe spiegare non soltanto gli aspetti tecnici della strage di Via d’Amelio, ma soprattutto gli spostamenti e i contatti che i fratelli Graviano avevano tra il 1992 e il 1994 alla ricerca di quegli appoggi politici che molti altri collaboratori di giustizia vicinissimi a Graviano, come Gaspare Spatuzza hanno raccontato, quei contatti politici che secondo questi collaboratori di giustizia, avrebbero in un certo senso chiuso la stagione delle stragi.

Sicuramente ci sono due dati che continuano a tornare e cioè: la mancata comunicazione tra le procure, tra le procure antimafia in questo caso e un’altra maledizione per usare una parola forte e cioè che ogni qualvolta si tocca l’argomento dell’organizzazione della strage di Via d’Amelio, i contorni della progettazione della strage, succede sempre qualcosa. Vorrei ricordare che ci sono collaboratori di giustizia assolutamente attendibili, riscontrati, che quando arrivano a raccontare chi c’era a Via d’Amelio, come era avvenuta la strage, dove si sono posizionati i killer con il telecomando, immediatamente tacciono. Quindi in un certo senso la collaborazione di un giorno di Tranchina avrebbe potuto disvelare questi misteri e ancora una volta invece ci troviamo davanti a un muro che non riusciamo a abbattere. C’è una frase, per esempio a proposito di pentiti e di mogli e di familiari che li convincono a non affrontare il nodo di Via d’Amelio, il pentito Di Matteo per esempio viene “convinto” dalla moglie a non parlare della strage di Via d’Amelio in un colloquio intercettato in carcere, sembra che la moglie gli dica: ricordati di Via d’Amelio dove c’era un infiltrato, del tipo non ti fidare, non raccontare allo Stato la verità su Via d’Amelio perché c’è dentro anche lo Stato al quale tu ti sei rivolto e hai deposto le armi pentendoti.
Questo è un dato ineliminabile, noi di Capaci sappiamo quasi tutto e anche se parti della ricostruzioni di Capaci continuano a essere poco, secondo me, credibili, su Via d’Amelio davvero c’è questa maledizione: a distanza di 18 anni, sappiamo davvero molto poco, come se il segreto di chi stava a Via d’Amelio dovesse essere un segreto conservato a tutti i costi, aggiungerei non solo nelle viscere di Cosa Nostra ma anche all’interno dello Stato.

Nicola Biondo (Blog cadoinpiedi.it, 21 aprile 2011)

 

 

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