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La gestione di Mutolo e l’attesa per Paolo Borsellino

di Pippo Giordano

Attendevo con ansia di rivedere il dottor Borsellino: erano tanti anni che non l’incontravo. L’avevo conosciuto a Palermo, quand’ero alla Squadra mobile. Il mio rapporto con Paolo Borsellino, fu sporadico e non intenso come avvenne invece col dottor Giovanni Falcone. Da alcuni mesi ero dipendente della DIA di Roma e mi fu affidato non solo l’incarico di assicurare la sicurezza al neo collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo, ma di seguire dal punto di vista investigativo le varie dichiarazione che lo stesso avrebbe fatto in ordine alla sua carriera di uomo d’onore di Cosa nostra.

Avevo già avuto esperienze nell’assistere il dottor Falcone nei vari interrogatori di Totuccio Contorno e Stefano Calzetta e Francesco Marino Mannoia. Gaspare Mutolo mi fu “consegnato” e lo nascondemmo in un anonimo condominio di Roma. Io ero coadiuvato da giovani agenti della DIA, che a turno fungevano da vivandieri. Nel nostro “covo” , attendevo la telefonata che annunciava il luogo dove avrei dovuto condurre Mutolo per gli interrogatori con Paolo Borsellino. Giorni e giorni d’attesa. Ad onor del vero il tempo scorreva velocemente, perchè tra me e il Mutolo si era stabilito un rapporto fiduciario, eppoi parlavamo la stessa “lingua”, con cognizione di causa del fenomeno Cosa nostra. Entrambi palermitani. Gaspare Mutolo, capì subito che io ero conoscitore delle famiglie mafiose del palermitano. Ogni volta che faceva un nome, io annuivo citando anche l’eventuale “nciurio” (soprannome) del soggetto. Le chiacchierate tra me e Mutolo, dissiparono numerosi interrogativi che m’ero fatto allorquando lavoravo a Palermo, soprattutto sugli omicidi irrisolti. E finalmente giunse la telefonata del mio capo sezione dottor Francesco Gratteri, che mi indicava ora e luogo dell’interrogatorio. Con disarmante tranquillità uscimmo dal condomino per recarci in piazza Della Libertà a Roma.

Conoscevo bene i locali. Erano appartenuti all’Alto commissario per la lotta alla mafia e dove avevo prestato servizio per una breve missione voluta dal compianto dr Tonino De Luca, da me conosciuto a Palermo. Quando giungemmo il dr Borsellino non era ancora arrivato. Eppoi giunse accompagnato dal dr Vittorio Aliquò, che non conoscevo. Ci furono le dovute presentazioni, ma con Borsellino non ci fu bisogno, ci conoscevamo e ci salutammo con un caloroso abbraccio. Una volta che entrammo nella stanza per dare inizio all’interrogatorio, io mi assentai per recarmi al vicino Centro Operativo DIA, di via Cola Di Rienzo, per alcune incombenze amministrative, anche in ordine al personale che era con me. Allorquando ritornai, mi dissero che Borsellino si era assentato per recarsi al ministero dell’Interno. Al suo rientro, riprese l’interrogatorio di Mutolo. Infine, nella tarda serata, terminato l’interrogatorio, noi rientrammo nel “covo”.

Colgo l’occasione per chiarire definitivamente un aspetto importante, che fu oggetto di malintesi. Non tutti sanno che i magistrati nel corso di interrogatori si avvalgono della presenza di ufficiali di p.g. esperti di cose di mafia e che sovente per motivi di sicurezza i loro nomi non vengono citati nei verbali. Come nel mio caso, il cui nome non compare nei successivi verbali di interrogatorio, ossia quelli del 16 e 17 luglio 1992 che lo stesso Borsellino fece a Mutolo con la presenza dei magistrati Natoli e Lo Forte. Del resto, anche negli interrogatori di Totuccio Contorno, Stefano Calzetta e Francesco Marino Mannoia, condotti dal dr Giovanni Falcone, il mio nome non compare nei verbali, tranne in un paio. Ritornando a primo luglio 1992, quanti progetti di interrogatori avevamo fatto. Pensavamo di lavorare mesi e mesi insieme a Paolo Borsellino. Ma il 19 luglio, tutti i progetti naufragarono. Conservo nel mio cuore quell’abbraccio del primo luglio e l’ultimo saluto del venerdì 17 luglio 1992. Due giorni dopo la morte del Galantuomo siciliano e dei miei cinque colleghi della Polizia di Stato.

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